sabato 18 febbraio 2012

Linsanity

Non c'è alcun dubbio che in America abbiano fame di "eroi", eroi in senso buono naturalmente: quelli sportivi.
Pochi mesi fa è salito agli onori delle cronache un ragazzone che gioca quarterback in Colorado, Tim Tebow, il quale, nonostante abbia una tecnica di lancio a dir poco rozza e statistiche sui passaggi non proprio esaltanti (e converrete con me che per un QB questo potrebbe e dovrebbe essere un problema) ha letteralmente trascinato i Denver Broncos ai playoff della NFL.
Poco importa che siano forse stati il carisma o l'aiuto "soprannaturale", essendo Tim profondamente religioso, più che le effettive capacità del giovanotto a trasformare gli scarsi Broncos in un team vincente, resta il fatto che la popolarità dell'ex QB dei Florida Gators è stata talmente debordante che alla vigilia del Superbowl su Twitter molti addetti ai lavori si chiedevano quando la ESPN avrebbe smesso di parlare di Tebow per occuparsi finalmente della partita imminente.

Terminata la stagione del football adesso è un altro eroe che riempie gli onori delle cronache: Jeremy Shu How Lin, per il quale è stato appunto coniato il termine "Linsanity".
La storia di questo cestista cino-californiano è in certo senso molto "americana": rimasto "undrafted" (non scelto) alla lotteria del 2010 viene invitato dai Mavericks, forse impressionati dalla sua media punti ad Harvard nella Ivy league (dove prima si studia poi si fa sport), a giocare nella Summer League dove ha modo di mettersi in mostra perché riceve alcune proposte di contratto e sceglie Golden State, squadra in cui rimane un anno a mezzo milione di dollari e gioca 29 partite con 2,6 punti di media.
Nel 2011 passa a New York e le sue cifre sono del pari poco esaltanti. Tuttavia qualcuno lo ama o intravede in lui notevoli potenzialità perché a Natale, all'inizio di questa stagione ridotta dell'NBA, Lin è di nuovo seduto sulla panchina dei Knicks e sembra destinato a restarci a lungo ed alzarsi solo in rare occasioni e per pochi minuti, come del resto la stagione precedente e quella prima ancora.
Ma in America, si dice, tutti hanno una possibilità e non c'è dubbio che Lin abbia giocato bene la sua mano nell'occasione che la sorte e la vita gli hanno concesso: infortuni a catena per la squadra coi pantaloni alla zuava e coach D'Antoni, vecchia conoscenza della palla al cesto italica, lo mette in campo da titolare; sarà un successo.
Nella prima partita da partente Lin scrive a referto 25 punti, poi ne segna 28 e quindi 23, ma è ancora un carneade. Gli onori delle cronache arrivano il 10 febbraio quando praticamente da solo strapazza i Lakers mettendo a segno 38 punti, conditi con 7 assist, ma la vera Linsanity comincia il giorno di San Valentino quando il nostro eroe si dimostra anche uno con la mentalità vincente imbucando il tiro da tre vincente all'ultimo secondo contro i Raptors.
Da allora l'astro di Lin brilla di luce propria e i tifosi dei Knicks, da anni assetati di vittorie, impazziscono: le magliette vanno a ruba, piatti e bevande vengono battezzati con il suo nome e perfino una copertina di Time lo onora.
Non si deve neanche trascurare la provenienza etnica della brillantissima stella, la comunità cino-americana, vittima di stereotipi e di razzismo, che ci consente così di chiudere il cerchio sulla favola americana: un signor nessuno, sottostimato per pregiudizi razziali, che si alza dalla panchina cui sembra destinato per tutta la vita e vola ad abbracciare gli onori e la gloria.

Ma sarà, appunto, vera e duratura gloria?

1 commento:

  1. Come ben sappiamo, se c'è un posto a cui servono eroi sono proprio gli Stati Uniti d'America.
    Lin è capitato nel posto giusto al momento giusto e capitalizzerà la sua popolarità con un contratto serio e finalmente una casa decente (basta divani dei compagni di squadra).
    Dal punto di vista sportivo hai citato i punti per partita e anche ad assist non è messo male (qualche doppia doppia nelle sette vittorie consecutive), ma il record di palle perse ever nelle sue partite da starter ci dice che il ragazzo deve crescere e lavorare molto per rimanere stabilmente nel circo della palla a spicchi, proprio come l'unto del signore e lo sferoide prolato.

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